Lo strumento del voucher (o buono lavoro) è stato introdotto dal Decreto Legislativo n. 276/ 2003 (c.d. Legge Biagi) al fine di incentivare l’emersione del lavoro nero in alcune attività economiche caratterizzate da prestazioni lavorative rese in modo saltuario.
L’intento del legislatore, che era quello di ricondurre alla legalità i rapporti di lavoro irregolari in tali ambiti, sembra oggi essere vanificato dalla estensione dello strumento in questione ad ogni tipologia di attività ed a soggetti già in possesso di altro impiego.
Il voucher, oggi, ha infatti la finalità di retribuire prestazioni di lavoro svolte in modo saltuario in ogni settore economico, salvo alcune particolari disposizioni per quanto riguarda il settore agricolo, i committenti pubblici e le imprese familiari e fermo il divieto di utilizzare i buoni lavoro nell’ambito di appalti e di rapporti di somministrazione di lavoro.
Ciascun voucher è costituito da una parte retributiva, che compensa l’attività lavorativa ed una parte contributiva, versata in favore del lavoratore direttamente all’ente previdenziale. Il valore nominale di ciascun buono lavoro è stabilito per legge ed è attualmente pari a 10 euro (di cui 7,50 euro a titolo di corrispettivo per il lavoratore e 2,50 euro a titolo di contributi previdenziali INPS ed assicurazione INAIL).
La normativa, negli anni sempre più permissiva, ha creato una grande platea di prestatori di lavoro accessorio anche in ambiti ed attività non certamente di natura saltuaria, determinando un conseguente aumento del lavoro precario.
Inizialmente, infatti, l’art. 70 del D.lgs. 276/03 limitava l’utilizzo dei voucher ad alcune tipologie di attività, principalmente in ragione della particolarità delle stesse, caratterizzate da una certa discontinuità e dalla presenza di brevi picchi di lavoro che ne giustificavano l’utilizzo.
In coerenza con questa finalità, si prevedeva la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio esclusivamente nell’ambito dei lavori domestici, dell’insegnamento privato supplementare, dei lavoro di giardinaggio e pulizia, della realizzazione di manifestazioni (sociali, sportive ecc.), della collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariati per lavori di emergenza o dovuti calamità naturali o per fini solidaristici.
Altra limitazione riguardava la categoria di lavoratori destinatari della norma; si prevedeva che potessero svolgere prestazioni di lavoro accessorio soltanto coloro che risultassero privi di una occupazione lavorativa, casalinghe, studenti, pensionati, disabili e soggetti in comunità di recupero, lavoratori extracomunitari nei sei mesi successivi alla perdita di lavoro.
In ogni caso, la disciplina allora vigente stabiliva che la prestazione di lavoro non potesse superare le 30 giornate annue e il compenso percepito dal prestatore di lavoro dovesse attestarsi entro i 3000 euro nell’anno solare.
Con l’introduzione della Legge n. 92/2012 (c.d. Legge Fornero) è stata modificata la nozione di “prestazioni di lavoro accessorio”, qualificando tali attività come quelle aventi natura meramente occasionale che non danno luogo, nell’anno solare, a compensi in misura superiore a 5000 euro, ancorando quindi l’accessorietà al dato economico.
Veniva, pertanto, eliminata qualsiasi tassativa elencazione delle tipologie di attività per le quali risultava possibile ricorrere al lavoro accessorio, estendendo la facoltà di utilizzare tale strumento a qualsiasi ambito lavorativo, senza alcuna esclusione, mantenendo alcune particolari regole soltanto per le attività agricole, la pubblica amministrazione e le imprese familiari.
La nuova disciplina prevedeva che il prestatore di lavoro potesse percepire annualmente, tramite voucher, un compenso annuo non superiore a 5000 euro, di cui non più di 2000 dallo stesso committente.
Da ultimo, con il Decreto Legislativo n. 81/2015 è stato ulteriormente esteso l’utilizzo dei buoni lavoro in termini economici, aumentando il tetto massimo di compensi percepibili dal lavoratore nell’anno solare, mediante l’innalzamento a 7000 euro complessivi ed 2000 euro per ciascun committente.
Inoltre, con tale ultimo provvedimento è stata prevista la possibilità di impiegare in prestazioni di lavoro accessorio qualsiasi soggetto, anche se già occupato in altra attività di lavoro, subordinata o autonoma.
Questo ampliamento senza confini dell’uso dei voucher ha creato non pochi problemi a molti lavoratori, non soltanto in termini di maggiore precarizzazione del lavoro, ma anche dal punto di vista della possibilità di godere di ammortizzatori sociali ed altre indennità erogate dall’INPS, tenuto conto che i contributi versati attraverso i buoni lavoro non sono utili ai fini del diritto ai trattamenti di disoccupazione involontaria, di maternità e di malattia, venendo computati solo ai fini pensionistici.
E’ attesa a breve l’adozione di un decreto di revisione della materia che, nelle intenzioni, dovrebbe aiutare a contrastare gli abusi che negli anni si sono registrati, ma che in sostanza dovrebbe risolversi nella previsione di ulteriori adempimenti burocratici a carico dei committenti e sanzioni più gravi per la violazione delle disposizioni di legge, senza ridurre, come invece sarebbe opportuno, l’ambito di applicazione della normativa sul lavoro accessorio.