Il trasferimento di ramo d’azienda è definito dalla legge (art. 2112 del codice civile) come quella cessione di una articolazione dell’azienda, funzionalmente autonoma, da un soggetto imprenditore ad un altro soggetto imprenditore.

Negli anni la definizione di cessione di ramo d’azienda fornita dalla legge è cambiata, passando da una formulazione che, accanto all’autonomia, poneva l’accento sulla preesistenza del ramo d’azienda ad una che invece non contiene più tale riferimento, avendo sostituito il requisito della preesistenza con la previsione che il ramo oggetto di dismissione debba essere dotato di propria autonomia funzionale e venga individuato come tale (ossia come articolazione automa) dalle parti contraenti (cedente e cessionario) al momento della cessione.

Tale modifica legislativa non ha mutato, in ogni caso, lo scopo della norma che, ancora oggi, è quello di impedire che l’imprenditore si disfi dei dipendenti “sgraditi” collocandoli in un ramo d’azienda appositamente costituito per essere successivamente fatto oggetto di cessione e nel contempo garantire la tutela dei diritti dei lavoratori trasferiti.

Su questo argomento è intervenuta recentemente una sentenza della Corte di Cassazione (n. 11247/2016) che, in relazione ad un caso di cessione di ramo intervenuta tra due società, avente ad oggetto il trasferimento dei servizi di back office alla clientela, ha dichiarato illegittima la cessione ed imposto all’azienda cedente di ripristinare i rapporti di lavoro dei dipendenti appartenenti al ramo ceduto, a causa della mancanza di autonomia funzionale del ramo in questione.

La motivazione della Corte poggia sul rilievo che, anche a seguito della modifica legislativa già detta, il trasferimento di ramo d’azienda richiede comunque che la porzione di attività ceduta sia, a monte, autonoma ed in grado di esercitare una attività economica organizzata.

Nel caso di specie risultava che nel contratto di cessione fossero stati ceduti, tra l’altro, i beni mobili ed il personale, mentre non risultavano essere stati trasferiti i programmi ed i sistemi informatici necessari per lo svolgimento dei servizi oggetto di cessione, sulla base di supposte ragioni di privacy legate al trattamento dei dati inseriti nei data base aziendali.
Inoltre, non era stato dimostrato che il gruppo di lavoratori trasferiti fosse dotato di particolari conoscenze specialistiche tali da risultare essenziali per lo svolgimento del servizio ceduto.

Da ciò se ne doveva ricavare l’assenza di autonomia e di autosufficienza del ramo.

La Corte di Cassazione, a sostegno della propria argomentazione, richiama la direttiva comunitaria 2001/23/CE che definisce trasferimento di ramo d’azienda quello “di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”.

La Corte di Giustizia, in numerose pronunce succedutesi nel tempo, da ultimo con la sentenza C-458/12 del 6.3.2014  ha rilevato che l’autonomia dell’entità ceduta deve preesistere al trasferimento e che in assenza di un’autonomia funzionale sufficiente al momento della cessione — circostanza questa che spetta al giudice verificare — tale trasferimento dovrebbe ritenersi in contrasto con la direttiva CE.

In tal senso, sostiene la Corte di Cassazione con la sentenza citata, nulla è cambiato con l’intervento del legislatore italiano che ha modificato l’art. 2112 del codice civile, poiché è sempre necessario, ai fini della legittimità dell’operazione di cessione nei confronti dei lavoratori ceduti, che al momento del suo trasferimento, il ramo in questione esista e sia autonomo, ossia in grado di svolgere, con propri mezzi, una attività economica organizzata.

La Corte, inoltre, sottolinea che sebbene la legge attribuisca alle parti contrattuali la facoltà di identificare l’articolazione oggetto della cessione, ciò non significa che sia consentito alle stesse di qualificare discrezionalmente una porzione di azienda come ramo, perchè questo vorrebbe dire far dipendere l’applicazione della normativa a tutela dei diritti dei lavoratori dalla volontà dei contraenti.

In sostanza, il ramo oggetto di cessione deve essere, già al momento del suo trasferimento, esistente, autonomo, organizzato ed in grado di “provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi”: solo in presenza dei predetti requisiti le parti contraenti possono validamente identificare il ramo di azienda come tale ai fini del trasferimento.

Infatti, secondo l’argomentazione della Cassazione, il ramo ceduto “deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato già nell’ambito dell’impresa cedente anteriormente alla cessione”.