Ogni lavoratore ha diritto ad un periodo di riposo annuale che consenta il recupero delle energie psicofisiche spese per lo svolgimento della prestazione lavorativa.
Il diritto ad un periodo di ferie retribuite è previsto, oltre che dall’art. 36, comma 3 della Costituzione, dall’art. 2109 del codice civile ed è ulteriormente specificato dai contratti collettivi settoriali, applicati ai rapporti di lavoro subordinato.
La regola generale attribuisce al datore di lavoro il diritto di predeterminare il periodo feriale, in quanto espressione del proprio potere organizzativo e direttivo, mentre al lavoratore è riconosciuta solo la facoltà di indicare il periodo entro il quale intende godere delle ferie, senza che il datore di lavoro sia obbligato a dar seguito alla richiesta.
Tuttavia, proprio perché la funzione delle ferie (ed in generale dei periodi di riposo) è quella di consentire al lavoratore di recuperare le proprie energie fisiche e psichiche, è necessario che il riposo annuale venga effettivamente goduto dal lavoratore entro l’anno di riferimento (o comunque entro il diverso termine previsto dagli accordi sindacali di settore), vanificando altrimenti lo scopo stesso cui è destinato.
In linea generale infatti la c.d. monetizzazione delle ferie è vietata. Il lavoratore, non può pertanto rinunciare ad utilizzare i giorni di ferie in cambio della corresponsione della relativa retribuzione. Tuttavia, nel caso in cui, alla cessazione del rapporto di lavoro, residuino dei giorni di ferie arretrati e non goduti, questi andranno indennizzati.
Recentemente una sentenza della Corte di Cassazione (n. 1756/2016) ha avuto modo di tornare sull’argomento ribadendo un principio di particolare importanza.
Nel caso in questione un lavoratore, il cui rapporto di lavoro era ormai terminato, aveva agito nei confronti dell’ex datore di lavoro per ottenere il pagamento di una indennità sostitutiva per i giorni di ferie non goduti negli ultimi anni di lavoro.
L’azienda sosteneva che, poiché il lavoratore non aveva goduto delle ferie nel periodo stabilito dal turno aziendale, né aveva risposto positivamente all’invito rivoltogli di smaltire i giorni di ferie negli ultimi mesi del rapporto di lavoro – richiesta motivata da esigenze aziendali – si doveva ritenere che lo stesso vi avesse rinunciato.
La Cassazione con questa pronuncia ribadisce che il diritto alle ferie è un diritto irrinunciabile del lavoratore, in quanto costituzionalmente garantito a protezione della salute psicofisica dello stesso.
La sentenza è interessante perché afferma, da un lato, che le ferie maturate devono essere effettivamente godute e, dall’altro, che, in caso di mancato godimento, il datore di lavoro non può imporre al lavoratore l’utilizzo dei giorni di ferie accumulati negli anni precedenti in un’unica soluzione, risultando invece in tal caso obbligato a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute.
Sebbene infatti il datore di lavoro sia titolare, come detto, del potere di predeterminare il periodo di ferie, questo non può spingersi sino a consentire allo stesso di spostare, a propria discrezione, i periodi di godimento delle ferie, addirittura collocandoli alla cessazione del rapporto di lavoro, come nel caso affrontato da questa sentenza.
Come correttamente osservato dai giudici della Cassazione, ricade sul datore di lavoro l’onere di effettuare una corretta programmazione del lavoro in modo da consentire a tutti i dipendenti il godimento dell’irrinunciabile diritto alle ferie “essendo l’istituto delle ferie preordinato al recupero delle energie psico-fisiche nel corso del rapporto di lavoro e non alla fine dello stesso”.
Con questa decisione è stato ancora una volta riaffermato il principio, già espresso dalla Corte Costituzionale, secondo il quale il diritto al riposo annuale “garantisce la soddisfazione di primarie esigenze del lavoratore, dalla reintegrazione delle sue energie psico-fisiche allo svolgimento di attività ricreative e culturali, che una società evoluta apprezza come meritevoli di considerazione”.