Recentemente la Corte di Cassazione ha affrontato una questione interessante relativa ad un peculiare aspetto del licenziamento per ragioni economiche: l’estensione dell’obbligo di repechage (ripescaggio).

Il caso riguardava il licenziamento di un lavoratore motivato dalla volontà dell’azienda di esternalizzare una determinata attività che risultava svolta unicamente dal dipendente in questione.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda del lavoratore ed accertava l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di repechage, per aver omesso il datore di lavoro di proporre al dipendente il reimpiego in mansioni equivalenti o inferiori, la cui presenza era stata dedotta dal lavoratore.

Viceversa, in sede di impugnazione della sentenza, la Corte d’Appello aveva accolto le ragioni dell’azienda, sostenendo, da un lato, che in primo grado era stata dimostrata dall’azienda l’assenza di posizioni con mansioni equivalenti a quelle del dipendente licenziato e, dall’altro, che il lavoratore si era limitato ad indicare, in modo generico, l’esistenza di alcune possibili mansioni (impiegato, cassiere, vigilanza ecc.), senza specificare le effettive posizioni disponibili in azienda.

La questione è approdata dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, nella sua argomentata sentenza (n. 26467/2016), ha ritenuto invece illegittimo il licenziamento del dipendente proprio sotto il profilo della violazione dell’obbligo di repechage.


In particolare la Cassazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello, ha precisato che grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver prospettato al lavoratore la possibilità di adibirlo a mansioni diverse, anche inferiori, al fine di evitare il licenziamento.

A tale riguardo, a nulla rileva, secondo i Giudici, il fatto che il lavoratore abbia fatto riferimento in modo generico ad altre posizioni di lavoro disponibili, poiché, secondo correttezza e buona fede, è sempre onere del datore di lavoro dimostrare di avere proposto al lavoratore la collocazione in mansioni diverse, siano esse equivalenti o anche inferiori a quelle svolte dal dipendente, rientranti nel proprio bagaglio professionale, quale alternativa al licenziamento, circostanza che nel caso di specie non era stata provata da parte dell’azienda.

E’ interessante notare che la Corte torna a parlare di correttezza buona e fede come principi cardine del rapporto di lavoro, che devono ispirare le azioni delle parti nella esecuzione del contratto.

Ed è proprio sulla base delle considerazioni svolte in sentenza che la Corte esprime il seguente principio di diritto: “Nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo l’onere del datore di lavoro di provare l’adempimento all’obbligo di repechage va assolto anche in riferimento a posizioni di lavoro inferiori, ove rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore e compatibili con l’assetto organizzativo aziendale; il datore di lavoro, in conformità al principio di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto, è tenuto a prospettare al lavoratore la possibilità di un impiego in mansioni inferiori quale alternativa al licenziamento ed a fornire la relativa prova in giudizio”.