L’orario part-time, oggi disciplinato dal decreto legislativo n. 81/2015, è stato introdotto per la prima volta in Italia negli anni ‘80 con lo scopo di favorire l’occupazione di alcune categorie di lavoratori che risultavano più difficilmente collocabili (o ricollocabili) sul mercato del lavoro (es. giovani, disoccupati di lungo periodo ed in età anagrafica avanzata), con particolare riguardo alle donne che, per conciliare lavoro e famiglia, necessitavano di una diversa flessibilità di orario che consentisse di contemperare le due diverse esigenze.

Nel tempo, anche attraverso l’efficace opera delle parti sociali, è stato introdotto un vero e proprio diritto di ottenere la riduzione dell’orario di lavoro per i lavoratori in particolari condizioni di salute (es. malati oncologici o affetti da gravi patologie cronico-degenerative che possiedono una ridotta capacità lavorativa accertata da commissione medica) mentre in altre circostanze la legge ha stabilito, in favore del lavoratore richiedente, un diritto di precedenza rispetto alle domande di trasformazione dell’orario di lavoro in part-time.

E’ il caso di: patologie oncologiche riguardanti il coniuge, i figli o i genitori del lavoratore o lavoratrice; lavoratore o lavoratrice che assistano una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa con invalidità pari al 100% e necessità di assistenza; lavoratore o lavoratrice con figlio convivente di età non superiore a 13 anni; lavoratore o lavoratrice con figlio convivente portatore di handicap.

In alcuni casi, i contratti collettivi stipulati dalle maggiori organizzazioni sindacali hanno previsto dei trattamenti di maggior favore rispetto a quelli già garantiti dalla legge. E’ il caso del CCNL Commercio il quale, entro certi limiti percentuali sulla forza lavoro occupata nella singola unità produttiva, sancisce il diritto dei lavoratori padri e delle lavoratrici madri di ottenere la trasformazione temporanea dell’orario di lavoro da full-time a part-time, fino al compimento del terzo anno di età del figlio.

Sempre nell’ottica di favorire una conciliazione tra lavoro e famiglia, il D.Lgs. 81/2015 ha introdotto una nuova possibilità per i genitori che lavorano, attribuendo alla lavoratrice madre ed al lavoratore padre il diritto di scegliere, al posto del congedo parentale, la conversione temporanea del contratto di lavoro full-time in contratto di lavoro part-time, consentendo una riduzione fino ad un massimo del 50% dell’orario di lavoro full-time, con un conseguente vantaggio in termini economici. Tale opzione potrebbe costituire la scelta preferibile per coloro che non possono “permettersi” una riduzione dello stipendio al 30% (corrispondente all’ammontare della indennità erogata dall’INPS).

Le norme che favoriscono una riduzione dell’orario di lavoro riguardano tuttavia categorie di lavoratori diversi: da coloro che hanno l’esigenza di conciliare esigenze di lavoro con quelle familiari, a coloro che, in avanzata età anagrafica e prossimi alla pensione, preferiscono, per motivi diversi, ridurre l’orario di lavoro.

In questo senso, da ultimo si inserisce il decreto legislativo n. 208/2015 che ha istituito il part-time c.d. agevolato destinato ad operare in favore di coloro che sono prossimi alla pensione, introducendo un meccanismo che contempla una combinazione tra incentivi economici e contestuale riconoscimento della contribuzione figurativa per l’accesso al trattamento pensionistico. La norma prevede che possano accedere al part-time agevolato i lavoratori assunti a tempo indeterminato con orario full-time cui manchino al massimo 3 anni al raggiungimento dei requisiti contributivi per l’accesso alla pensione di vecchiaia (minimo 20 anni di contributi), requisiti che debbono essere soddisfatti entro il 31 dicembre 2018. Tali soggetti possono decidere di ridurre l’orario di lavoro fino alla data della pensione in misura non inferiore al 40% e non superiore al 60%.

Il lavoratore che sceglie di ridurre l’orario di lavoro ha diritto ad un incremento retributivo esentasse e, contestualmente, all’accredito della contribuzione previdenziale calcolata sull’ammontare della retribuzione persa per effetto della riduzione dell’orario di lavoro, evitando in tal modo penalizzazioni sul trattamento pensionistico futuro.

L’attenzione sempre maggiore rivolta negli ultimi anni alle azioni dirette a promuovere una riduzione dell’orario di lavoro, se da un lato sembra dimostrare che il legislatore abbia compreso la necessità di consentire alle persone di conciliare meglio lavoro e famiglia, dall’altro lato, soprattutto a seguito dell’ultimo intervento legislativo, fa riflettere sul momento di difficile ripresa del mercato del lavoro, un mercato nel quale, per fare spazio ai giovani, occorre incentivare chi è in età avanzata a ridurre la propria prestazione lavorativa…salvo poi aumentare l’età pensionabile.