Il dipendente che denuncia il datore di lavoro non può essere licenziato.
E’ questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4125/2017.
I giudici hanno ritenuto illegittimo il licenziamento intimato da una società nei confronti del proprio dipendente per avere denunciato alla Procura della Repubblica l’illegittima utilizzazione della cassa integrazione guadagni, nonché altre violazioni legate all’esecuzione del rapporto di lavoro, all’utilizzo di fondi pubblici ed alla normativa sulla intermediazione di manodopera.
Nel precedente grado di giudizio, la Corte d’Appello aveva ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente sostenendo che il diritto di critica, riconosciuto dall’ordinamento e rivendicato dal lavoratore, non potesse tuttavia spingersi sino a consentire di porre in essere comportamenti in grado di ledere l’immagine dell’azienda. Nel caso in questione, infatti, le indagini svolte avevano successivamente escluso la sussistenza degli illeciti denunciati dal lavoratore.
Inoltre secondo la Corte d’Appello, prima di agire, il dipendente avrebbe dovuto verificare la fondatezza di quanto denunciato, tenuto conto che lo stesso lavoratore aveva dichiarato di non essere certo delle condotte denunciate. Infine, i giudici di appello avevano dato rilievo anche alla circostanza che il dipendente avesse utilizzato, nella denuncia, termini lesivi dell’immagine e della reputazione aziendale.
La Corte di Cassazione, con un ragionamento diametralmente opposto, ha ribaltato la sentenza.
I giudici della Cassazione infatti hanno ritenuto che la denuncia da parte del dipendente di fatti di potenziale rilievo penale non potesse costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, a meno che la denuncia non avesse natura calunniosa.
In sostanza il lavoratore non poteva essere legittimamente licenziato per aver denunciato alcuni fatti, anche se di essi non aveva certezza, purché non vi fosse la consapevolezza della falsità di quanto denunciato e la volontà di agire con il solo scopo di danneggiare l’azienda.
E’ interessante ripercorrere il condivisibile ragionamento attraverso il quale la Cassazione è giunta a ritenere illegittimo il licenziamento intimato dalla società.
Secondo i giudici infatti l’obbligo di fedeltà che lega il dipendente al proprio datore di lavoro, invocato dall’azienda a sostegno della legittimità del licenziamento, non può essere inteso nel senso di impedire al lavoratore qualsiasi azione a tutela della propria persona o a tutela dell’ordine pubblico in genere (nel caso in questione la denuncia di presunti illeciti che il lavoratore riteneva si fossero consumati all’intero dell’azienda in danno dei lavoratori e della collettività).
Se si ragionasse in questo modo, secondo la Corte, si dovrebbe giungere alla conclusione che il dipendente è legato all’azienda non solo da un vincolo di fedeltà ma da “una sorta di dovere di omertà che, ovviamente, non può trovare la benché minima cittadinanza nel nostro ordinamento” .
I giudici in particolare enfatizzano il valore civico e sociale legato alla iniziativa del singolo che, rivolgendosi all’autorità giudiziaria quando ritenga siano in atto condotte illecite, partecipa in modo attivo e collaborativo al miglioramento della società in cui vive.
Proprio in ragione di quanto sopra la Corte ha escluso che la sola denuncia da parte del lavoratore all’autorità giudiziaria possa costituire una condotta disciplinarmente rilevante, tale da giustificare il licenziamento ed ha concluso enunciando il seguente principio di diritto “Non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento la condotta del lavoratore che denunci all’autorità giudiziaria o all’autorità amministrativa competente fatti di reato o illeciti amministrativi commessi dal datore di lavoro, a meno che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o la consapevolezza della insussistenza dell’illecito, e sempre che il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti.”