La Sezione Penale della Corte di Cassazione con una recente ed interessante sentenza (n. 22148/2017) è intervenuta nuovamente in materia di controllo dei dipendenti.
La titolare di un’azienda era stata condannata in primo grado per aver installato, all’interno dei locali aziendali, un impianto di videoripresa senza previo accordo con le rappresentanze sindacali e senza l’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro.
La datrice di lavoro si era difesa sostenendo di aver preventivamente richiesto ed ottenuto il consenso di tutti i dipendenti alla installazione delle videocamere. Tutti i testi ascoltati, infatti, avevano confermato di essere consapevoli della presenza delle videocamere e di aver acconsentito alla loro installazione.
Per tali motivi, il reato secondo la datrice di lavoro, doveva ritenersi insussistente.
La Corte, tuttavia, ha affermato che anche nell’attuale panorama normativo, che ha visto la modifica dell’art. 4 della L. 300/70 ad opera dell’art. 23 del D. Lgs. n. 151/2015, permane il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti.
Infatti, l’installazione di impianti audiovisivi (consentita solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale), dalla quale derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, richiede ancora oggi un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, una autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro.
Pertanto, in assenza di accordo o di autorizzazione, il controllo effettuato dal datore di lavoro attraverso impianti audiovisivi costituisce sempre illecito penalmente rilevante.
A nulla rileva secondo la Corte la circostanza che, nel caso specifico, i lavoratori avessero acconsentito alla installazione degli impianti di videoripresa, come invece sostenuto dalla datrice di lavoro richiamando un caso analogo nel quale la Corte aveva riconosciuto la validità del consenso prestato per iscritto da tutti i lavoratori in quanto diretti destinatari dell’interesse giuridicamente protetto.
La Corte ha ritenuto di discostarsi dalla citata pronuncia sulla base della considerazione che la norma penale in discorso è volta a tutelare interessi di carattere collettivo e superindividuali di cui sono portatrici le rappresentanze sindacali.
Il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali ha, infatti, lo scopo di consentire ad un organismo qualificato e competente di verificare se gli impianti audiovisivi che l’azienda intende installare siano o meno in grado di ledere la dignità dei lavoratori e di accertare la rispondenza di detti impianti alle esigenze produttive o di sicurezza dedotte dal datore di lavoro, disciplinandone anche le modalità d’uso: tali attività non possono essere demandate ai singoli lavoratori i quali, dinanzi al datore di lavoro, si trovano in una situazione di forte squilibrio contrattuale, essendo la parte debole del rapporto.
In proposito lo stesso Garante per la protezione dei dati personali in diverse occasioni ha ritenuto illecito il trattamento dei dati personali mediante sistemi di videosorveglianza, senza il rispetto delle garanzie di cui all’art. 4, L. 300/70 e nonostante il consenso dei lavoratori.
La Corte ha pertanto concluso affermando che ai fini della esclusione dell’illecito penale è del tutto irrilevante l’esistenza di un consenso da parte dei singoli lavoratori (sia esso scritto o orale), poiché la tutela penale è apprestata per salvaguardare interessi collettivi di cui sono portatrici le rappresentanze sindacali, uniche legittimate, ai sensi dell’art. 4 L. 300/70, a concludere accordi con il datore di lavoro.
E’ comprensibile e condivisibile il ragionamento della Corte che, correttamente, riconosce le rappresentanze sindacali come i soggetti deputati a tutelare l’interesse dei lavoratori in una materia particolarmente delicata, quale è quella dei controlli a distanza, nella quale è necessaria una particolare competenza ed esperienza.