Con il decreto legge 4 maggio 2023 n. 48, convertito in legge (Legge 3 luglio 2023 n. 85) il legislatore ha introdotto, tra le altre cose, alcune modifiche alla disciplina del contratto a termine contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. 81/2015.
Il testo attualmente in vigore, prevede che al contratto di lavoro subordinato possa essere apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi.
La norma stabilisce poi che il contratto possa avere una durata superiore, comunque non eccedente i 24 mesi, soltanto in presenza di alcune condizioni:
- nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali territoriali o aziendali
- in assenza di previsione da parte dei contratti collettivi, e sino al 30 aprile 2024, solo per esigenze di natura tecnica organizzativa o produttiva
- in sostituzione di altri lavoratori
Qualora venga stipulato un contratto di durata superiore ai 12 mesi in assenza di una delle condizioni sopra indicate, il contratto si trasforma a tempo indeterminato a partire dalla data di superamento del termine di 12 mesi.
Con l’intento di disincentivare il ricorso al lavoro a termine, il legislatore prevede poi che la durata complessiva dei rapporti di lavoro a tempo determinato tra uno stesso datore di lavoro e uno stesso lavoratore, anche se svolti con contratto di somministrazione, non possa superare i 24 mesi, sempre che il contratto riguardi mansioni di pari livello e categoria legale. La disposizione prevede che non si tenga conto dei periodi di interruzione tra un contratto e l’altro.
Anche in questo caso, laddove il limite dei 24 mesi venga superato, il contratto si trasforma a tempo indeterminato sin dalla data di superamento del limite di legge.
Superati i 24 mesi, è consentita la stipulazione di un ulteriore contratto a tempo determinato solo per la durata massima di ulteriori 12 mesi, ma soltanto attraverso una procedura da svolgersi dinanzi all’Ispettorato Territoriale del lavoro competente per territorio. La norma non si esprime rispetto alla necessità di inserire causali all’interno di tale ulteriore contratto, pertanto si ritene che la stipulazione possa legittimamente avvenire senza l’indicazione delle ragioni di apposizione del termine.
Con riferimento alle ipotesi di rinnovo e proroga del contratto a tempo determinato si prevede che l’indicazione delle esigenze specifiche sottese al rinnovo o alla proroga debbano essere esplicitate qualora la durata complessiva del rapporto di lavoro (ossia comprensiva sia del primo contratto, sia del periodo di rinnovo o proroga) superi i 12 mesi.
Mentre con riferimento al solo rinnovo, è previsto che vengano sempre specificate le esigenze in base alle quali il contratto viene stipulato.
In sostanza, con quest’ultimo intervento normativo il legislatore è tornato parzialmente sui suoi passi per reintrodurre, seppure solo in presenza di alcune condizioni, l’obbligo della causale.
Se l’intento del legislatore era quello di favorire una stabilizzazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato, occorrerà attendere l’applicazione delle norme per valutarne l’efficacia nel tempo.
Ciò che si può sin da subito osservare è che l’introduzione dell’obbligo di una causale soltanto per i contratti a tempo determinato di durata superiore ai 12 mesi, lasciando quindi “scoperti” i contratti sotto i 12 mesi, difficilmente scoraggerà l’applicazione di tale tipologia contrattuale da parte delle imprese.
Ad oggi occorre rilevare come la disciplina del contratto a termine posta dal D. Lgs. 81/2015 e rimasta in vigore sino all’introduzione delle predette modifiche (in vigore dal 5 maggio 2023) ha incentivato il ricorso a tale tipologia contrattuale sovente utilizzata per coprire momentanei “buchi” di personale per periodi molto brevi.
Ne sono una prova i dati raccolti dall’Istat che annualmente fotografa la situazione del mercato del lavoro. Secondo l’Istituto di statistica, nel 2022 i contratti a termine maggiormente diffusi sono stati quelli di brevissima durata (fino a 30 giorni) che costituivano oltre il 30% delle posizioni lavorative attivate a tempo determinato, mentre il 27 % era costituta da contratti di durata da due a sei mesi e solo lo 0,1% riguardava contratti di durata superiore all’anno.
Stando a questi dati, la reintroduzione delle causali limitata ai soli contratti di lavoro di durata superiore ai 12 mesi potrebbe avere un impatto fortemente limitato sulla platea dei lavoratori e inficiare lo scopo stesso della norma.
Sarebbe stato opportuno, a parere di chi scrive, reintrodurre le causali per tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato, di qualsiasi durata, onde consentire una verifica successiva circa la legittimità delle ragioni sottese alla apposizione di un termine al contratto.
Questo a maggior ragione se si considera che secondo l’art. 1 del D.Lgs. 81/2015 “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” .