Come ormai noto, il D.Lgs. n. 23/2015 ha introdotto un nuovo regime di tutela contro i licenziamenti, sostitutivo dell’art. 8 della Legge n. 604/1966 e dell’art. 18 della Legge n. 300/1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori), che trova applicazione per tutti i lavoratori assunti con decorrenza dal 7.3.2015, siano essi dipendenti di imprese di piccole o grandi dimensioni.
Con riferimento in particolare alle aziende di maggiori dimensioni (ossia quelle che occupano in ciascuna sede più di 15 dipendenti), le disposizioni del decreto in questione hanno sensibilmente ristretto, rispetto a quanto previsto nell’art. 18, le ipotesi in cui il Giudice, accertata la illegittimità di un licenziamento, può ordinare all’azienda la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prediligendo invece un sistema sanzionatorio di tipo economico, di fatto rafforzando un indirizzo già espresso con la recente modifica intervenuta ad opera della L. 92/2012 (la c.d. Legge Fornero).
In linea generale, per effetto delle nuove disposizioni, a fronte di un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo o di un licenziamento per motivi economici dichiarato illegittimo da parte dell’autorità giudiziaria, il lavoratore potrà, nella maggior parte dei casi, ottenere solo la condanna del datore di lavoro alla corresponsione di una indennità risarcitoria, senza quindi veder ripristinato il rapporto di lavoro.
La nuova disciplina, infatti, limita la reintegra ai casi più gravi quali il licenziamento discriminatorio o nullo per violazione di una norma imperativa di legge, il licenziamento intimato in gravidanza o per causa di matrimonio, il licenziamento orale ed il licenziamento motivato dalla disabilità fisica o psichica del lavoratore.
Una ulteriore ipotesi di reintegra è prevista nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa ma solo allorquando sia “direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore” (con una dubbia formulazione che fa sorgere non pochi interrogativi in tema di onere della prova) e, in ogni caso, con il riconoscimento di una indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (la c.d. retribuzione globale di fatto).
Laddove, invece, il Giudice accerti la illegittimità del licenziamento intimato, ma non ricorra uno dei casi sopra indicati, l’unica tutela che potrà accordare al lavoratore sarà di tipo economico, mediante la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità di retribuzione globale di fatto.
Da ultimo, nell’ipotesi in cui sussistano solo dei vizi formali e procedurali, l’entità dell’indennità risarcitoria subirà una ulteriore riduzione, potendo il Giudice condannare il datore di lavoro a versare un importo variabile compreso tra un minimo di 2 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione globale di fatto.
Questo nuovo regime di tutela si applica, come detto, ai rapporti di lavoro instaurati dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo.
E per i rapporti di lavoro già in corso alla data del 7 marzo 2015?
Per quanto riguarda i lavoratori già in forze a tale data, essi continueranno a beneficiare della (maggior) tutela prevista dal vecchio art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla Legge Fornero (n. 92/2012).
Tale disposizione, in aggiunta alle ipotesi di reintegra disciplinate dal nuovo D.Lgs. n. 23/2015, prevede ulteriori casi in cui il Giudice può ordinare la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e specificamente:
- quando il fatto rientri tra condotte punibili con una sanzione conservativa secondo quanto previsto dal contratto collettivo applicato;
- nel caso di violazione delle disposizioni in materia di conservazione del posto di lavoro (licenziamento per superamento del periodo di comporto).
In questi casi, l’art. 18 S.L. contempla il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità non superiore a 12 mensilità di retribuzione globale di fatto, riconoscendo, pertanto, un trattamento più favorevole rispetto a quello riservato dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo di cui si discute (disposizioni per effetto delle quali, peraltro, non sembra più essere consentito al Giudice il sindacato sulla proporzionalità della sanzione adottata dal datore di lavoro rispetto alla condotta contestata al lavoratore).
In conclusione, con l’introduzione del D.Lgs. n. 23/2015, si sono venute a creare due diverse categorie di lavoratori, nei confronti delle quali trovano applicazione due regimi di tutela differenziati sulla base del diverso “momento” di instaurazione del rapporto di lavoro: i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015 godranno della tutela prevista dal nuovo decreto, mentre i lavoratori che a tale data erano già alle dipendenze dell’azienda, continueranno a beneficiare della tutela più ampia riservata dall’art. 18 L. n. 300/70.